1972: Evitato un dramma, Cacciato Herrera

Anzalone cuor di leone

Per Roma-Inter invasione di campo e aggressione a Michelotti. Nell'occasione, Anzalone dimostra decisione e carattere. Come quando, alcuni mesi dopo, dà il benservito al Mago HH che si credeva intoccabile

Se non lo avessero visto, nessuno ci avrebbe creduto. E lo aveva visto, e lo raccontava ancora turbato, Gianni Bezzi sul Corriere dello Sport. Gaetano Anzalone che si getta nella mischia, si tuffa nel gruppo inferocito, e grida con le lacrime agli occhi; lacrime disperate. Anzalone resterà, nella storia romanista, famoso anche per le sue rapide commozioni: ma quella volta fu di un vigore perfino eroico. Era il momento più drammatico della rivolta romanista contro l'arbitro Michelotti, che aveva fischiato un rigore inesistente all'ultimo minuto, permettendo così all'lnter di vincere all'Olimpico. La scintilla era partita dalla curva Nord, quando un tifoso aveva scavalcato il fossato. On grido di guerra. Molti lo avevano seguito, un gruppo aveva raggiunto Michelotti, qualcuno lo aveva colpito. Poi, nei tumulti, i più facinorosi, quelli che da grandi cercano le provocazioni come da piccoli cercavano mamma, avevano abbattuto un cancello e si erano avviati agli spogliatoi. Volevano dare, urlavano, una lezione a Michelotti.
Stavano per arrivare al bersaglio quando sulla porta apparve Anzalone, piccolo e spaurito. Quanto pesava, il presidente? categoria leggeri, sessanta chili poco più. E era timido, e aveva l'animo pio. Ma capì che stava per succedere il peggio, e che la Roma sarebbe stata travolta dal dramma. Lì fermò con il suo coraggio da presidente e con le sue lacrime da tifoso. E riuscì a convincerli, li indusse a desistere. Più tardi, fu lui a portare in salvo Michelotti, con la sua Mercedes. Poi sarebbe stato dimostrato che lo scontro tra Morini e Mazzola era avvenuto fuori area e che Morini aveva colpito il pallone: quindi il rigore era inesistente.
Bastano i titoli dei giornali per avere un'idea di quello che successe. Su tutta la prima pagina del Corriere dello Sport: «Chi deve vergognarsi di più, l'arbitro o gli invasori?». Poi: «Un rigore inesistente condanna la Roma e provoca la reazione dei tifosi: 0-2 per l'Inter?». «Due ore di tumulti, 25 feriti, un arresto». «Soccorsi 14 agenti e 11 tifosi. Quattro persone fermate. L'invasore denunciato è quello che ha colpito Michelotti? L'arbitro ha lasciato lo stadio nella vettura di Anzalone». «Frattura del femore per un dirigente romanista. Tentativo di suicidio di uno spettatore». E ancora: «Anzalone ha sventato l'assalto all'arbitro: il presidente si tuffa tra i tifosi e li supplica di non commettere pazzie». Il dirigente romanista che aveva riportato la frattura era Angelo Foffano, membro del Collegio dei Probiviri; il tifoso che, mentre lo conducevano al cellulare, nel sottopassaggio tentò di tagliarsi le vene con una lametta, era Mario G. di Tagliacozzo. Boninsegna denunciò di essere stato aggredito da Ciccio Cordova, i dirigenti romanisti minacciarono il ritiro dal campionato in caso di punizioni esagerate. n commissario della CAN (Commissione Arbitri) Ferrari Aggradi, disse che la direzione di Michelotti era stata esemplare. Tutto questo successe il l? dicembre 1972 e nella Roma niente fu più come prima.

Lontano dall'Olimpico

Fu difficile la ripresa, lontano dall'Olimpico, anzi fu impossibile. Era una Roma stordita, sembrava allontanata anche da se stessa. C'era smarrimento, le magie di H.H. si erano inceppate. Ne raccontò una Enzo Tortora, nel servizio cui abbiamo accennato, protagonista il portiere dell'Inter Giuliano Sarti, vittima prima di una importante partita di una crisi di dissenteria. Herrera voleva farlo giocare a ogni costo, negli spogliatoi lo prese da una parte e gli disse: «Tu ripeti ad alta voce, per tredici volte consecutive: lo sono il più grande portiere del mondo...». E intanto, il Mago gli faceva cabalistici segni sulla testa. Infine Sarti sbottò: «Mister, io l'ho detto, ma la cacarella resta!» e non giocò. appare superfluo precisare che le magie di Herrera erano le sue straordinarie intuizioni, anche psicologiche. In questo fu superato solo da Liedholm, che sarebbe stato capace di convincere Pruzzo a giocare in porta, perchè -avrebbe detto Nils- era un portiere nato.
Zoppicando, per questi malumori e queste contraddizioni, la Roma arrivò in vista del derby di ritorno. Herrera ci arrivò più mal concio degli altri, perchè a metà febbraio, dopo l'ennesimo rovescio -stavolta all'Olimpico contro il Bologna, autorete di Peccenini- fu sottoposto ad un pubblico processo (da parte della stampa, ovviamente) sulla base di queste imputazioni: 1) la squadra è stanca per una preparazione sbagliata? 2) Spadoni è già bruciato? 3) Come spiega, Herrera, la giostra delle punte, che ha provocato grande confusione in attacco? 4) E' lui il responsabile dell'antipatia che circonda l'ambiente? 5) Sapeva che certi acquisti avrebbero potuto deluderlo? 6) Dove ha messo la vecchia grinta? 7) E quanto tempo dedica, al suo lavoro?
Herrera rispose in una sola volta, inglobando tutti gli scottanti quesiti in un unico solenne impegno: il derby con la Lazio sarebbe stato il segnale della riscossa, perchèormai la Roma aveva superato lo shock delle roventi giornate che avevano seguito la famosa invasione di campo. Insomma, secondo il Mago, quelli che avrebbero voluto punire Michelotti, in realtà avevano decapitato la Roma. Lui personalmente Helenio Herrera, aveva dovuto minacciare querele, per uscire dal vortice polemico: gli interisti,e in particolar modo Mazzola, sostenevano che tutto era scaturito dal vittimismo del Mago.

Nei piedi di Chinaglia

Era, la Lazio, la più bella squadra del campionato. Giorgio Chinaglia riusciva a esprimere una potenza, anche caratteriale, che suggestionava tutti, compagni e avversari. E gli altri sembravano davvero carezzati da un soffio magico. Uno splendore del quale nessuno, a cominciare da Maestrelli, aveva ancora saputo capire l'intensità. E Herrera insisteva. Ah,ah! io ci rido: loro sono favoriti e noi li umilieremo. La Lazio vinse passeggiando, primo gol di Garlaschelli poi autorete di Santarini e il Mago si trovò a sedere scoperto. Si cominciò a parlare, era marzo, del suo esonero: H.H. ebbe un'impennata di orgoglio: «Dicono che mi cacciano? Ma sono io che me ne vado, se non fanno una squadra competitiva per lo scudetto!».
Si arrivò così all'8 aprile, quando la Roma diede per intero, dal portiere all'ala sinistra, dal primo minuto all'ultimo, una desolante dimostrazione di impotenza. 0-0, e fu la tomba di Helenio Herrera come allenatore dell' A.S. Roma. Anche il timorato di Dio Gaetano Anzalone, sempre pervaso da spirito di solidarietà, non ebbe remore e non ebbe rimorsi: via H.H., e fu stilato il comunicato di esonero. La Roma passò nelle mani di Antonio Trebiciani.
Avete ragione: chi era costui? Antonio Trebiciani era in quel momento l'allenatore delle squadre giovanili. Aveva guidato l' 0stiense, quando c'era Anzalone e per lui, impiegato all'INAIL, il calcio era solo un secondo lavoro. Anzalone lo aveva portato alla Roma: un fedelissimo del presidente, dunque; un tecnico affezionato che non aveva altra ambizione oltre a quella di impedire lo sfascio della Roma. E ci riuscì. Poi ciao.

Tratto da La mia Roma del Corriere dello Sport

 

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